Servizio di Vittorio Billera, Allegra Monti
#FactoryVenariaReale
Venaria Reale commemora il Giorno del Ricordo
Tre note di tromba e una corona. Così Venaria Reale ha dato il via alla commemorazione del “Giorno del ricordo”, nel giardino dedicato ai Martiri delle foibe, alla presenza del primo cittadino Fabio Giulivi, del Presidente del Consiglio comunale Giuseppe Ferrauto, del consigliere Regionale Andrea Cerutti, delle associazioni e del gonfalone comunale.
Una giornata, quella del 10 febbraio, istituita nel 2004 per conservare e rinnovare la memoria dei nostri connazionali coinvolti nelle vicende del confine orientale, che causarono migliaia di morti durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Il sindaco Fabio Giulivi, dichiara «Il mio appello di oggi è rivolto sopratutto ai giovani, agli studenti, a chi sta formando la propria coscienza, la propria scolarità, di approfondire, studiare e leggere, conoscere tutta la nostra storia: le pagine più conosciute sia quelle meno conosciute del dramma delle foibe. Fa parte della nostra memoria collettiva che deve essere condivisa, al si là di qualsiasi considerazione politica, stiamo parlando di storia e la politica deve rimanerne fuori. I politici facciano i politici, gli storici facciano gli storici».
I massacri delle foibe e le deportazioni causarono un vero e proprio esodo che coinvolse la Venezia Giulia, l’Istria, il Quarnaro e la Dalmazia. Persone invisibili, uomini e donne dimenticate dalla storia, perseguitate per il solo fatto di essere italiani.
Giuseppe Ferrauto, presidente del Consiglio comunale «E’ fondamentale mantenere il ricordo di una tragedia che ha colpito migliaia di italiani. Per troppo tempo la vicenda è stata ignorata, perché le vittime delle foibe non furono solamente i gerarchi fascisti, gli squadristi e gli impiegati militari, ma furono tutti gli italiani che rappresentavano la nostra comunità».
Ricordi ancora vividi nella memoria di chi li ha vissuti e ha dovuto tenerli per sé per quasi tutta la vita.
Ascoltiamo alcune testimonianze di chi ha vissuto in famiglia, quel periodo.
Faustino Piutti «Nel ‘48 dalla Valle d'Istria, la maggior parte son proprio scappati. Di giorno vedevi la finestra aperta con gente dentro e l'indomani era tutto chiuso perché erano scappati, attraverso i boschi. Noi siamo venuti via nel '48 con passaporto e tutto e siamo stati anche fortunati, perché ci siamo portati via tutta la mobilia. Addirittura, mi ricordo, avevo tredici anni e avevamo un carro pieno di legna, venivamo da un paese di contadini, mio padre faceva la legna. Ci hanno portato nel campo profughi di Latina poi qui ad Altessano ci hanno trovato un posto, perché avevamo i parenti. Non le dico, eravamo 15 o 20 persone e di notte sentivi tutto. C'era chi faceva il turno di giorno,chi di notte e un po' di confusione c'era sempre e si è andato avanti così».
Silva Rubbi «Mia nonna poverina, la prima volta che usciva dal paese si è trovata a Catania da sola, era vedova, il figlio era a Udine, perché lo avevano smistato lì».
Giuseppe Maserazzo «Avevamo fatto la domanda del passaporto prima di tutto, per portare via i beni e quello che si poteva portare, poi è arrivata una cosa e non è arrivata l'altra. Allora io ho detto a mia madre tu parti il sabato. Poi io sono partito il lunedì e siamo arrivati a Catania. Lei voleva restare al nord, ma niente da fare. Ha chiesto di poter andare a Torino e le hanno chiesto se avesse qualcuno a Torino, lei aveva sua sorella con una camera ammobiliata. Stava sotto il letto».